venerdì 22 gennaio 2010

Capitolo 3 - L'inconscio è un autoclave - parte prima

Mossi la mano verso sinistra, quindi verso destra, davanti al volto di Isa. Nulla. Provai a batterle insieme, le mani. Sciok. Nulla. Provai a sclocchiare le dita, sempre davanti al viso di Isa. Un viso bianco, lo sguardo di madreperla. Non si scompose. Mi alzai in piedi, feci un disinvolto giretto per la stanza...non ancora...ancora un attimo...adesso!
-BU!
Niente.
-Va bene. Alzati!
Si alzò.
-Seguimi!
Uscii dal suo appartamento, lei come un cagnolino mi seguì. Salimmo in macchina e la portai a casa mia, con il tramonto del venerdì sera che mi accecava nonostante i RayBan.
Isa. E’ sempre stata un po’ giù, per questo aveva iniziato ad andare in terapia. “Parlo un po’, tutto qui”. Poi la passione per il proprio inconscio l’aveva divorata. Voleva saperne sempre di più, e ancora di più. Più scavava più si appassionava. Quando ci incontriamo, non tanto spesso, lei mi racconta a puntate cos’ha scoperto, come se fosse un serial tv, come se non l’avesse mai vissuto. Ha un potere di rimozione davvero incredibile. E non è che avesse da rimuovere chissà che traumi, però così è. Il suo psichiatra le ha detto il cervello sano è equilibrato come i vasi comunicanti, quello disturbato si basa sul principio dell’autoclave e dei rubinetti. Il suo psichiatra dopo la laurea non ha trovato subito lavoro nel suo campo, e ha lavorato undici anni come idraulico.
Accompagno Isa in casa, la metto comoda sul divano e preparo qualcosa da mangiare. A suon di ordini chiari le faccio fare tutto quel che voglio, ma lei non c’é.
Qualche ora prima.
-Pronto?
-Clarck.
-Oh, ciao Isa! Come va?
-…
-Pronto?
-…
Mi precipitai a casa sua, qualcosa non andava. La porta era aperta e lei era in piedi con il telefono in mano. Assente. Cercai di comunicare con lei in tutti i modi, riuscii a malapena a farla sedere. Riagganciai il telefono e quello cominciò subito a squillare.
-Pronto?
-…ehm, pronto, con chi parlo? Cercavo Isa.
-Sono un suo amico, e lei?
-Sono il suo psichiatra…
-Ah bene, perché Isa non sta molto bene…
-Lo so…temo di non averla risvegliata dall’ipnosi, devo essermi scordato…
-Cosa?! Venga subito allora!
-E’ che sono già partito per il week-end…
-Ma che cazzo! Ma allora perché mi ha chiamato se era ipnotizzata?
-Perché le ultime cose che le ho detto, alla fine della seduta, in modo colloquiale, sono state di andare a casa e di chiamare un amico…io intendevo per passare un buon week-end, lei invece sotto ipnosi mi ha obbedito alla lettera…
-E adesso che cavolo facciamo, mi scusi?
-Se ha chiamato lei vuol dire che è una persona fidata e affidabile, quindi le posso chiedere di occuparsi di Isa fino a lunedì mattina?

giovedì 14 gennaio 2010

Capitolo 2 - Del singhiozzo e del lavoro

Questa settimana sono andato al funerale di un mio vecchio amico.

Due volte.

Non perché sia morto due volte, sia ben chiaro. E' solo che il giorno del funerale, il primo intendo, è morto pure il prete. Non è stato mandato nessun sostituto.

-I preti sono quasi tutti in cassa integrazione. - mi dice il becchino, ventiduenne di bell'aspetto e molto elegante. - A parte il prete che doveva venire oggi, lui è in cassa e basta! Ah Ah

Lo guardo perplesso mezzo secondo, cercando di capire se si aspetta che io rida. Mi allontano.

Siamo tutti lì, un sacco di gente che non conosco e io. Tutti in nero. Sembriamo in attesa di uno sbarco alieno da accogliere e mettere sotto copertura.

Lui è lì, e per un attimo lo invidio. Non perché sia morto. Perché è sdraiato e sembra comodo. La faccia incerata. Sembra che l'abbiano ringiovanito esattamente all'età in cui l'ho conosciuto io.

Un volto conosciuto, finalmente, si fa largo tra la folla. Un altro vecchio amico, meno amico dell'altro, ma vivo. Elemento altamente discriminante in questo momento.

Come va come non va, a bassa voce, e usciamo a fumarci una sigaretta, nella veranda della casa della madre del nostro amico.

-Ma come è successo?

-Ah, da non credere...

-Sì?!

-Eh già...

-...

-Povero ragazzo...

-Be'?

-Me l'ha raccontato suo cugino, hai presente?

-No.

-Quello di là mummificato sul divano a trangugiare mentine!

-Sì.

-Praticamente stavano andando in ufficio, venerdì mattina, lavorano assieme e ci vanno assieme in macchina. Il poveretto aveva il singhiozzo già per strada, forse addirittura da casa, era contrariato perché non riusciva a farselo passare. Ha intrattenuto per tutto il tragitto il mentina-dipendente di là spiegandogli che non riesce a trattenere il respiro, e il singhiozzo non gli passa. A quanto pare continuava ad agitarsi per 'sta cosa, dovevano andare subito in riunione, come se non bastasse.

-Quindi?

-Quindi la brillante idea: sei piani in ascensore, se riesco a trattenere il respiro finché non arriviamo al piano, dice il povero dipartito, il singhiozzo mi passerà di sicuro. Non devo contare, non mi distraggo.

-Ha funzionato? - butto la sigaretta più lontano che posso, in strada. Un camioncino la investe.

-Non proprio...l'ascensore si è bloccato tra il quinto e il sesto piano. Stop. Attendere soccorsi. Respira, gli dice il cugino, no no no, fa con la testa l'altro, ma che cazzo fai? Respira! Insiste il cugino, ma niente da fare, ormai l'altro ha il cervello in cortocircuito dal nervoso e dalla mancanza di ossigeno. Un circolo vizioso. I soccorsi hanno trovato l'uno steso esanime e l'altro in lacrime che continuava a buttargli mentine a forza in gola per aiutarlo a respirare “meglio”.

-Merda, che brutta storia...

-Sì, però non l'hanno accusato di omicidio, l'autopsia lo ha scagionato.

Guardo il mio vecchio amico come poco fa ho guardato il becchino.

Due giorni dopo sono tornato al funerale, era stato trovato un sostituto del prete. C'era la metà della gente: non si può chiedere il permesso dal lavoro due volte per lo stesso funerale. Il mio amico aveva la faccia un po' meno incerata, ma tanto c'era la metà della gente a vederlo.

Lui lo sa bene. Io lo sapevo, ma ora ne ho le prove: andare al lavoro può uccidere. Non è la morale, questa. La morale semmai è che, per colpa del lavoro, a darti l'ultimo saluto ci sarà la metà della gente.

martedì 12 gennaio 2010

Capitolo 1 - L'origine della simmetria

Il concetto di simmetria affiorò in modo curioso all'umanità. Non venne concepito in ambito matematico o filosofico. Semplicemente si presentò come una conseguenza della rasatura maschile. Quando questa pratica si fece largo tra le usanze antiche, e in particolare quando divenne costume tra gli uomini rasarsi decorativamente il viso, il concetto di simmetria venne a galla: negli occhi delle donne ovviamente, antropologicamente le custodi dell'ordine in senso lato.
Per questo motivo quando la mattina mi metto di fronte allo specchio e mi rado, lo faccio completamente. Non sopporto di creare disturbo nel genere femminile. Anche se mi capita spesso.
Mi chiamo Clarck Jackson e forse qualcuno già mi conosce, ma questa è un'altra storia. Ho circa trent'anni, vivo da solo e di lavoro faccio...ecco questo non posso dirvelo.
Diciamo che vendo me stesso. Non mi prostiutisco, nel senso comune del termine, ma in senso lato è come se lo facessi. Posso dirvi solo che rende bene, molto bene.
Ecco la simmetria che ritorna: io sono l'altra metà del sistema produttivo, sono l'altra metà dell'uomo comune, sono l'immagine allo specchio che fugge al vostro controllo tutte le mattine.
Sono l'altra metà del sogno, quella in cui si realizza. E sono qui.